Sono ufficialmente iniziati i lavori per la costruzione di un nuovo rigassificatore nel porto di Piombino, in Toscana. Nonostante le proteste dei cittadini e l’opposizione del sindaco della città, il governo italiano ha infine deciso di andare avanti con il progetto. Questa decisione è certamente legata all’urgenza di garantire il fabbisogno energetico italiano e alle specifiche caratteristiche del porto di Piombino, che avrebbero orientato la scelta a suo favore. Il porto ospiterebbe la nave accanto alla banchina est, un’area pronta all’uso già utilizzata per la scomposizione della nave da crociera Costa Concordia, prima della decisione di dirottarla nella città di Genova.
Dopo l’autorizzazione all’installazione del rigassificatore da parte della Conferenza dei Servizi, nell’ottobre scorso è arrivata quella definitiva del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani. L’obiettivo previsto è di rendere l’impianto operativo entro la primavera del 2023. Il progetto prevede di installare una nave, la Golar Tundra, acquistata nel 2015 dalla Società Nazionale Metanodotti (Snam), di 300 metri in lunghezza e 40 in larghezza, che potrà immettere fino a cinque miliardi di metri cubi di gas all’anno, trattando il gas naturale liquefatto (Gnl) e contribuendo così al 6,5% del fabbisogno nazionale. La nave è una Floating storage and regasification unit (Fsru), utilizzabile sia come metaniera – adibita cioè al trasporto di gas liquefatto – e sia come impianto di rigassificazione da collocare in un porto per la trasformazione del combustibile dallo stato liquido a quello gassoso. Il gas liquefatto è quindi al centro delle politiche energetiche adottate dal governo italiano, in continuità, da questo punto di vista, con le scelte del precedente esecutivo. Esiste infatti un notevole vantaggio legato all’utilizzo del Gnl: trattandosi di gas liquefatto, esso occupa un volume 600 volte minore rispetto agli standard e le navi metaniere che lo trasportano possono quindi muoverne maggiori quantità. Ottenere gas liquido, però, richiede l’installazione di alcune infrastrutture necessarie per la sua trasformazione, ossia serbatoi di stoccaggio e rigassificazione, per pompare e riscaldare il gas liquido fino a riportarlo allo stato gassoso ed inserirlo quindi nelle tubazioni per la sua trasmissione. Nel caso di impianto onshore il rigassificatore si trova sulla terraferma, mentre nel caso di impianto offshore sono le navi metaniere a svolgere questa funzione.
A Piombino si è scelta una soluzione ibrida, con una nave attraccata al porto, principalmente a causa dei tempi ristretti previsti per la sua realizzazione. In particolare, l’attracco della Fsru, previsto per l’inizio del 2023, è preceduto dalla costruzione di una condotta lunga 8 km che collegherà la nave ad una centrale di immissione del gas nella rete nazionale. Quello di Piombino si aggiungerebbe agli altri tre rigassificatori già presenti in Italia. Il primo è il terminale “Gnl Adriatico” di Rovigo, situato precisamente a Porto Viro, il più grande tra gli impianti offshore del paese, che produce otto miliardi di metri cubi di gas all’anno ed è attivo dal 2009. Il secondo impianto offshore è quello di Livorno, che dal 2013 produce 3,75 miliardi di metri cubi all’anno. Infine, l’ultimo è lo stabilimento di La Spezia, impianto onshore che produce 3,5 miliardi di metri cubi annui.
L’Italia sembra dunque puntare molto sullo sfruttamento del Gnl, ma la presenza dei rigassificatori già operativi non è stata considerata sufficiente a soddisfare il fabbisogno di gas o a gestire la quantità di Gnl che il paese dovrebbe ricevere nel breve termine. Ottenere gas da nuovi paesi fornitori, con i quali l’Italia non è collegata tramite gasdotti – come, ad esempio, il Congo e l’Angola – avrebbe verosimilmente reso l’approvvigionamento più complesso e lento, perché in questo caso sarebbero state necessarie infrastrutture ex novo da costruire in tempi ristretti. È questa un’ulteriore ragione che ha fatto propendere per l’uso del Gnl. La scelta di impiegare il gas liquefatto fa parte naturalmente di una logica di affrancamento dal gas russo, nel tentativo di creare partnership alternative a Mosca. La costruzione del rigassificatore toscano rientra quindi nell’ambito del piano per ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia. Al fine di accorciare i tempi di realizzazione, il governo Draghi e la Snam avevano deciso di velocizzare le procedure, nominando il presidente della Regione Toscana commissario straordinario. In questo contesto anche le procedure di controllo sono state ridotte e pertanto sia la valutazione di impatto ambientale sia altri passaggi tecnici sono stati svolti o verranno eseguiti attraverso procedure semplificate.
L’autorizzazione a procedere è comunque stata concessa sulla base di un memorandum che contiene alcune misure di sicurezza e tutela dell’ambiente, giudicate tuttavia insufficienti dalle associazioni locali, che ormai da mesi protestano contro la messa in funzione del rigassificatore. In particolare, le criticità legate alla installazione della Golar Tundra riguarderebbero due aspetti legati alla sicurezza ambientale. In primo luogo, si teme che lo scarico del cloro nelle acque del porto possa alterare l’ecosistema, venendo versato in mare in quantità superiori rispetto a quelle che si trovano naturalmente nelle acque marine. In questo senso, la protesta più sentita proviene dai pescatori della zona, preoccupati che ciò possa danneggiarli. Il secondo problema riguarderebbe la connessione alla rete del gas attraverso un tubo lungo otto km che partirebbe dalla nave fino alla prima centrale di distribuzione del gas sulla terraferma. Esistono due modalità di realizzazione di questi collegamenti: la costruzione in superficie o quella sotterranea. Nel primo caso, le associazioni ambientaliste lamentano possibili danni al paesaggio, e di conseguenza al turismo – che è l’attività prevalente della zona. Questa possibilità, però, pare essere stata esclusa. Nelle scorse settimane, infatti, la Snam ha avviato i lavori per costruire il tubo sotto la superficie. Anche in questo caso, però, le proteste non sono mancate, temendo che gli scavi per l’inserimento del tubo comportino bonifiche complicate e costose, che però la Snam avrebbe già concluso. In generale, le richieste di chi si oppone alla sua costruzione riguardano anche il mancato coinvolgimento dei cittadini e del sindaco nel processo decisionale, giustificato da una corsa contro il tempo, e quindi dai pochi controlli previsti per i lavori. Conformemente a questo spirito, il sindaco della città di Piombino, Francesco Ferrari, ha dichiarato di voler fare ricorso al Tribunale amministrativo regionale proprio in riferimento al memorandum sul quale si basa l’autorizzazione alla costruzione del rigassificatore. Secondo il primo cittadino e i contestatori, il memorandum non conterrebbe sufficienti previsioni di controllo e verifica di fattibilità del progetto. In ogni caso, il ricorso dovrà necessariamente essere presentato entro e non oltre la fine del mese di novembre.
In questa cornice, il governo Meloni ha annunciato l’intenzione di voler condurre delle trivellazioni per la ricerca e l’uso di gas sul territorio italiano, in continuità con l’obiettivo complessivo di rendere l’Italia maggiormente autosufficiente dal punto di vista energetico. In particolare, le estrazioni verrebbero autorizzate in una piccola zona dell’Alto Adriatico, che conserverebbe giacimenti potenziali di 500 milioni di metri cubi di gas. Si tratta di un requisito indispensabile, senza il quale non sarebbe possibile procedere con le trivellazioni. Stesse condizioni, quindi, legate alle eventuali concessioni per eseguire nuove trivellazioni anche al largo del Mediterraneo alla ricerca di possibili giacimenti.
Le proteste del sindaco di Piombino, della comunità locale e di una parte del paese che si oppone all’installazione del rigassificatore si inseriscono in un contesto internazionale molto complesso, in cui è necessario attuare una diversificazione nell’approvvigionamento energetico italiano, soprattutto considerando il recente taglio di Gazprom alle forniture europee. È a questa ormai imprescindibile esigenza che si lega l’utilizzo della Golar Tundra, insieme alle nuove partnership create con paesi fornitori alternativi alla Russia, e nella consapevolezza che diversificare servirà per il raggiungimento dello scopo finale, ossia l’autonomia energetica. Questa strada, però, appare ancora molto lunga.
Chiara Vilardo